ARS GRATIA ARTIS
In un’epoca in cui anche in arte lo scopo principale è quello di colpire lo sguardo con immagini immediatamente stupefacenti, può sembrare strano che esistano artisti che chiedono al loro interlocutore lentezza, attenzione, profondità, costanza, partecipazione intellettuale, intelligenza visiva, contemplazione. Eppure esistono, non sono pochi, e praticano quasi tutti una qualche forma di astrazione, termine che può andare dal concettualismo più ermetico al più tradizionale astrattismo pittorico, così come si è venuto precisando nel corso dei primi settant’anni del XX secolo. Raffaele Cioffi è tra questi ultimi.
Per sgombrare il campo da ogni equivoco, va detto subito che l’astrazione è uno stato d’animo, una condizione esistenziale che ha storicamente trovato la sua espressione visiva nell’astrattismo, e non viceversa. In altre parole, questa condizione dell’essere umano non è legata a un particolare momento storico, così come la sua manifestazione visiva, fatta di forme e colori senza soggetto e senza oggetto, che non sia semplicemente il linguaggio con cui viene espressa: ora che sono caduti (quasi) tutti i confini linguistici dell’arte, e che “tutto può funzionare” nel suo mondo, l’astrazione come linguaggio visivo non è più legata a un periodo e a un significato di rottura, di avanguardia, e per lo stesso motivo non può essere tacciata di passatismo. E’ un codice linguistico, forse il più puro e meno contaminato da altri linguaggi e da altre narrazioni, e trova i suoi riferimenti all’interno di se stesso, come la matematica. “Ars gratia artis” – “l’arte per l’arte” – dicevano gli antichi romani (e la cornice rotonda da cui ruggiva il leone della Metro Goldwin Mayer) e, per quanto riguarda le arti visive, nulla si avvicina di più a questo programma dell’astrazione/astrattismo.
Ciò premesso, chi oggi utilizza questo codice – come Cioffi – non può che lavorare sul concetto di “variante”, rispetto alle grandi innovazioni e alle scoperte del secolo scorso: gli elementi fondamentali sono stati identificati e usati, per cui ciò che rimane è la “variazione sul tema”. Al contrario di quanto potrebbe sembrare a parole, si tratta di un territorio molto vasto, in cui ciò che manca sono i “picchi” o gli “abissi”. Immaginate in questo senso, un paesaggio molto dolce, variegato anche se costituito tutto da colline, come in Toscana… oppure, meglio ancora (visto che Cioffi si presenta per la prima volta in Cina), immaginate il tipico paesaggio della pittura e della porcellana cinese, con le montagne, la cascata che finisce in un lago, la barca e, spesso, anche uno studioso sulla riva: in entrambi i casi, la tipologia non cambia, ma sono i particolari che rendono diverso ogni angolo, è una proporzione in più o in meno, una sfumatura più o meno sapiente che fa la differenza … e di quei paesaggi – veri o dipinti, non importa – non ci si stanca mai. Così, l’astrazione in pittura, che non si esaurisce mai, per due motivi distinti. Il primo, è che tutti coloro che “sentono” questo linguaggio non vi rinunciano perché qualcuno prima di loro sembra aver già esplorato tutto; il secondo, perché le possibili varianti su uno stesso tema – anzi, su uno stesso linguaggio, che costituisce un campo d’azione ancor più vasto – sono praticamente infinite.
Così Cioffi si inserisce nel flusso di quel nobile fiume dell’astrazione, di cui si conosce storicamente la sorgente, ma di cui non si vede ancora la foce. Lo fa costruendo la propria combinazione molecolare di forme e colori, in cui gli echi sono ovviamente numerosi, ma il cui risultato è assolutamente unico. Il suo. Tendenzialmente, nella sua pittura degli ultimi dieci anni (ma anche più) la geometria dei segni è ridotta al minimo, mentre la parte preponderante è quella del colore, di un singolo colore che mette in campo tutte le sue varianti sino a formare una specie di nebbia colorata che varia di intensità – e quindi, visivamente, di spessore -, e si coagula attorno ai segni geometrici che dividono lo spazio, che definiscono un angolo, o una forma vagamente rettangolare, che l’artista titola quasi sempre “soglia” o “passaggio”. Questi titoli presuppongono un’apertura, un dispositivo visivo per passare da uno stato a un altro: è una soglia visiva, perché nel nostro sguardo si va formando una breccia, un varco cromatico, qualcosa che ci sembra uno sbocco, ma semplicemente perché cerchiamo di riportare ciò che non conosciamo – il sistema visivo astratto creato da Cioffi – a ciò che invece conosciamo nella nostra realtà fisica – una “porta” -, e tuttavia non si tratta di questo (o non si tratta “solo” di questo… ), ma di un lavoro più puro, che ha come mezzo e come fine il linguaggio stesso, il linguaggio che riflette sui propri codici, il metalinguaggio della visione.
Nell’atelier di Cioffi si parla solo della forza del colore, della capacità della geometria di influenzarne la potenza, e viceversa di come l’aspetto cromatico, sino ad arrivare alla più infinitesima pennellata, sia in grado di mitigare le certezze della forma. Quasi nulla della realtà quotidiana entra in questo nuovo mondo pittorico, ma sicuramente questo mondo entra nella nostra realtà quotidiana.