STELLE VARIABILI
Nell’arco di trent’anni la pittura di Raffaele Cioffi – per come viene raccontata dalle opere su carta riprodotte in questa pubblicazione – sembra aver seguito un tragitto scandito in fasi alterne. Detto in modo sommario: a periodi in cui prevale la sintesi e l’evanescenza seguono momenti pervasi da tensioni e addensamenti.
Se poi ci si addentra nei dettagli di questo itinerario è possibile notare come gli stati di tensione si verifichino soprattutto quando il segno si fa irregolare, ondulato e – come accade per esempio nei lavori dei primi anni Novanta e più marcatamente in quelli datati 2011 – diviene un filamento che a volte si torce su se stesso fino ad aggrovigliarsi, altre volte si assesta in modo obliquo accanto a strisce all’incirca perpendicolari.
La circostanza in antitesi a quella sin qui descritta vede il segno farsi contorno, ritagliare lo spazio, oppure dissolversi ai confini di una situazione luminosa fluttuante – come accade in particolar modo nei due pastelli del 2008 intitolati Luce e nelle più recenti Soglie.
Nell’intervallo tra le polarità – e talvolta nelle loro intersezioni, cioè nei momenti in cui le fasi di sintesi e quelle di tensione non si alternano come al solito con scarti rapidissimi, ma sussistono contemporaneamente – si situano le molte opere nelle quali le fasce di colore si accumulano in direzione orizzontale o verticale: qui il grado di inquietudine è stabilito dalla densità, o meglio dalla frequenza, delle bande cromatiche, dalla maggiore o minore compattezza del colore, dalla tonalità più o meno squillante.
L’artista ha scelto per questa raccolta di opere su carta il titolo Costellazione: il rimando è a una modalità di posizionamento dei lavori nello spazio espositivo che allude alla volta stellata, ma anche allo sfondo cosmico su cui si staglia l’itinerario pittorico. I disegni di Raffaele Cioffi – che vanno intesi sia come “premonizioni” di dipinti, secondo una formula coniata da Claudio Olivieri, sia come affioramenti di intuizioni scaturite dalle opere su tela – sembrano comportarsi come stelle: emanano una luce generata da reazioni interne ai loro fattori costitutivi, da urti tra nuclei energetici differenti. A entrare in collisione sono talvolta il segno e il colore; più spesso l’impatto avviene fra traiettorie cromatiche divergenti. Quasi sempre quelle che vediamo emergere sulla carta sono delle stelle variabili, degli astri dalla luminosità cangiante e indecifrabile.
Oltre che un’espressione propria del linguaggio astronomico, Stella variabile è il titolo di una raccolta di poesie di Vittorio Sereni che mi è venuta in mente nel corso di una visita allo studio di Raffaele. Una lirica in particolare mi è sembrata concernere alcuni disegni che ho visto in quell’occasione: un testo di cui ho discusso una volta con Claudio Olivieri, soprattutto riguardo a un verso dedicato alla visionaria trasformazione di Mantova – la sua città d’elezione – in Tenochitlàn.[1] Autostrada della Cisa si chiude con delle strofe pregne di suggestioni visive:
Di tunnel in tunnel di abbagliamento in cecità
tendo una mano. Mi ritorna vuota.
Allungo un braccio. Stringo una spalla d’aria.
Ancora non lo sai
– sibila nel frastuono delle volte
la sibilla, quella
che sempre più ha voglia di morire –
non lo sospetti ancora
che di tutti i colori il più forte
il più indelebile
è il colore del vuoto?
Può trattarsi di una fessura che apre allo sguardo una Prospettiva interiore, oppure di un’area bianca che suggerisce una cavità, un interstizio nella materia pittorica, e che assume il profilo di una Soglia: il vuoto abita nel profondo della pittura di Cioffi e si manifesta in un colore che non è solo il più indelebile, ma anche il più indefinibile.
Nel vuoto – in una “bolla cosmica”, come ci ha rivelato di recente la ricerca astronomica – sono nate le stelle più giovani, come il Sole: stelle talvolta variabili, astri che con la loro pulsazione mutevole ci invitano – come scrive Davide Longfils in una delle liriche composte per questo volume – a “coltivare i confini del cielo”.
Roberto Borghi
[1] Ecco la strofa di Autostrada della Cisa di cui ho discusso con Olivieri: “Parla così la recidiva speranza, morde/ in un’anguria la polpa dell’estate,/ vede laggiù quegli alberi perpetuare/ ognuno in sé la sua ninfa/ e dietro la raggera degli echi e dei miraggi/ nella piana assetata il palpito di un lago/ fare di Mantova una Tenochititlàn” (Tenochititlàn era la capitale dell’impero azteco edificata su di una serie di piccole isole del lago Texcoco).