La pittura che si muove
di Alberto Barranco di Valdivieso
La forza della pittura. Raffaele Cioffi ha sempre dimostrato un istinto “sensuale” per la disciplina della pittura.
Formatosi all’Accademia di Brera nei primi anni Novanta dapprima con Luciano Fabro, artista concettuale dai paradigmi severi, e successivamente scegliendo percorsi didattici diversi, ha dimostrato già nei primi anni di studio una presa di coscienza forte del proprio mondo espressivo.
Fabro senz’altro è stato un maestro importante, anche nel processo di comprensione di ciò che non fosse congeniale al suo autentico sentire, dunque allontanarsi in modo reciso è stato il segno di una scelta di campo coraggiosa. Ricordiamo che all’epoca, l’Arte Concettuale, era ancora tra le più consolidate realtà nella cultura accademica e artistica italiana, nonostante il movimento, da circa vent’anni, avesse in gran parte già esaurito la propria forza propulsiva.
La posizione teoretica dei concettuali era netta e senza appello, e definiva la “pittura” come un semplice “tipo” di azione totalmente superata in quanto autolimitante e anti-contemporanea. Queste erano le locuzioni categoriche che Joseph Kosuth , uno dei più importanti teorici del movimento, dettava tra i principi della nuova anti-poetica. Kosuth, e gli altri artisti della corrente, portavano avanti l’eliminazione della suggestione onirica, della narrazione lirica, in favore di azioni compositive basate sulla sintesi logico-analitica, incardinate nella filosofia, nella politica e nelle discipline sociologiche secondo una totale assuefazione dell’arte alle emergenze oggettive della realtà e dei suoi significati antropologici.
Cioffi, fin all’inizio del suo percorso, invece, ha fatto propria la pittura tradizionale, pura, “di pennello” come si usa dire, accettando la sfida di insistere in questa forma d’arte, quale mezzo di espressione che fosse capace di raggiungere risultati estetici ben oltre la propria oggettività bi-dimensionale, ciò in aperta e recisa opposizione anche ai principi fondanti dello stesso Espressionismo Astratto che sarà per l’artista una fonte importante di studio. L’assunto di Clement Greenberg, il grande teorico di questo movimento, infatti rilevava proprio nella bidimensionalità della pittura il suo limite fisiologico e la sua verità, suggerendo come illusionistica qualsiasi azione e progetto contemporaneo che inducesse ad una percezione tridimensionale della composizione .
Cioffi, sconfessa anche questa locuzione e progredisce nelle sue ricerche, credendo che proprio la pittura possa superare il limite della sua essenza, sia dal punto di vista degli esiti formali che del significato profondo, con questo presumendo in essa un valore assoluto, una “aura” diremmo citando Theodor W. Adorno , che utilizzi il medium pittorico per rivelarsi.
Questa “rivelazione” sussiste nel rapporto biunivoco tra l’opera d’arte e l’osservatore, attraverso la sua partecipazione sentimentale e intellettuale, sia intima che estetica. In questa operazione si costruisce l’esperienza di percezione di una dimensione “diversa”.
In questa direzione neo-spazialista la pittura supera la stessa fisicità della tela, permettendo l’esplorazione di uno spazio e di un tempo diversi da quelli in cui è presente l’oggetto dell’opera d’arte.
La libertà di un artista. L’atteggiamento di Cioffi nei confronti dell’arte, fin dall’inizio del suo lavoro, è coerente con un’attitudine contemporanea post-moderna secondo la quale l’artista esprime, rispetto agli elementi acquisiti dell’esperienza storica, una totale libertà di interpretazione.
Parliamo di post-moderno, non certo ascrivendo a Cioffi similitudini stilistiche con un movimento così vasto e tanto meno uno stile, piuttosto considerando il “post-modernismo” un atteggiamento intellettuale che segna, ancora oggi, un comportamento non filologico nei confronti delle forme codificate del passato.
Il post-modernismo ha espresso cambiamenti profondi nell’atteggiamento degli artisti verso la stessa arte, producendo una forza dirompente nei confronti degli assunti teoretici e filosofici sviluppati fino al secondo Dopoguerra. Questo è sia il prodotto che la causa (all’interno di meccanismi complessi, sia sociali che economici, che hanno investito gli ultimi cinquant’anni) dell’inevitabile crisi dei manifesti teorici e delle prese di posizione ideologiche rigidamente codificate.
Cioffi studia la pittura senza però alcuna intenzione citazionista: conoscere la storia dell’arte, con una passione che è rara nella maggior parte degli artisti, non gli serve per comporre collages eterogenei ma, comprendendo, in profondità, la ragione di ogni sperimentazione, trovare la sintassi della propria narrazione.
Affascinato, fin da prima di iniziare l’Accademia, dagli Impressionisti, dal Primitivismo cromatico di Paul Gauguin, dalla potenza segnica dell’Espressionismo, il giovane Cioffi afferma, con la scelta di abbandonare i corsi di Fabro, una propria individualità d’intenti, riconoscendosi una vocazione immaginifica, che emergeva naturalmente dal proprio carattere di artista curioso verso le diverse forme dell’arte, come la musica, e di uomo coinvolto sul piano spirituale, sia per educazione che per attitudine.
Dunque la pittura ha ancora molto da dire ma deve essere affrontata con libertà intellettuale, senza disporsi in modo rigido rispetto all’importanza dei maestri.
In questo modo egli affronta il mondo dell’arte. Cioffi si muove con lo spirito curioso e duttile di chi “assimila” la pittura del passato: la tecnica impressionista della “vaporizzazione limpida” del colore di Monet, i segni pivotanti di Tancredi, il principio di interruzione tra spazio dell’arte e tempo percepito di Fontana, la struttura dei campi di colore del Color Field di Rothko e le stringhe di Barnett Newmann, e ancora la forza drammatica degli impasti cromatici di Richter fino al “minimalismo luminoso” degli ultimi anni.
A questo proposito è interessante riconoscere in Cioffi l’“assimilazione” dell’opera di Pierre Bonnard, di Claude Monet e dei Post-Impressionisti, che tradurrà più compiutamente nelle vaporizzazioni e nelle smarginature degli Anni Duemila.
Ricordiamo che l’Impressionismo aveva trovato proprio nello studio della luce una via per superare la retorica dell’illustrazione figurativa, mostrando, attraverso lo spettro cromatico-luminoso, l’estrema permeabilità del “finito” e dunque la via per un nuovo racconto, personale e sentimentale, della realtà che in quegli anni stava accelerando sempre di più il suo rapporto con il tempo e con lo spazio.
Dell’Impressionismo egli comprende profondamente il fare pittura, la tecnica e le motivazioni, soprattutto la lezione di Claude Monet che vaporizza la forma diluendo ogni elemento in una frammentazione che eviti la “sintesi sottrattiva” cioè una sovrapposizione del colore che riduca la limpidezza luminosa, così come gli studi sul tempo dell’impressione luminosa sulla retina di Georges Seurat. Cioffi “cattura”, di quella esperienza, il principio di decostruzione della forma attraverso il colore e la sua texture.
L’incontro con artisti aniconici come Claudio Olivieri e Claudio Verna è stato altrettanto importante dal punto di vista formativo. L’artista ha senz’altro appreso molto da quella scuola ma anche questa volta non ne accetta tutte le regole decidendo di non fare suo il distacco emozionale e “narrativo”.
Cioffi sviluppa, dunque, scelte articolate secondo paradigmi personali, attingendo all’esperienza ed all’opera dei maestri secondo criteri di metodo e di forma più efficaci per realizzare i propri intenti, articolando la tecnica più adatta per governare la composizione secondo le proprie istanze.
Spazio visibile e spazio percepito. L’inizio della ricerca pittorica di Raffaele Cioffi, a cavallo tra gli anni Novanta-Duemila, rimane in una “dimensione di mezzo” sospesa tra il Color Field e la pittura Analitica, fino a spingersi dopo breve tempo all’esplorazione del Neo-Espressionismo Astratto.
La scelta della perturbazione per stringhe verticali, ispirata appunto al Color Field, suggerisce allo spettatore un senso di variabilità della superficie, come se un tessuto metallico colorato di fibre verticali rivelasse pieghe e curve attraverso i riflessi di una luce intensa. La presenza nei cicli pittorici “Continuum: la mia ombra” del 2006-2010 e “Sipario” del 2012-2013 di interventi richteriani di pigmento multi cromatico, materico, denso e in contrasto con il pattern delle stringhe verticali, è il tentativo di produrre uno scarto sufficientemente efficace che spezzi la bidimensionalità della composizione, creando l’effetto spaziale di una variazione delle “regole del gioco” così capace di suggerire anzi di imporre, nella sorpresa, il senso di un piano diverso di percezione.
La sovrapposizione dei piani, infatti, suggerisce la tridimensionalità che a sua volta crea la percezione della “profondità”, condizione necessaria per indurre chi guarda a leggere un “evento” all’interno della composizione, un movimento, che segnali al fruitore una dimensione spaziale che diriga oltre la planarità della tela.
Con il passare del tempo la pittura di Cioffi sfalda sempre di più le campiture, e la sua pennellata da verticale comincia a cercare un rapporto più intenso e stringente tra spazio visibile della pittura e la percezione indotta dello spazio mentale, quest’ultimo affidato alla narrazione personale che si crea dentro lo spettatore e che il pittore ha solo innescato per empatia attraverso il dispositivo pittorico.
I lavori di “Luce dipinta” del 2017, presentati a Francoforte, in contemporanea con la manifestazione “Luminale”, aprono una nuova fase ispirata alla luce lineare del neon e agli aloni luminescenti che si formano intorno alle lampade, con un forte interesse verso le sperimentazioni luminose di Dan Flavin e Regina Schumann.
Le opere presentano sottilissime stringhe di luce colorata che graffiano in modo delicato campiture bicromatiche dalle sfumature fluo. Questi aloni si svilupperanno successivamente nelle smarginature aprendo la ricerca dei “passaggi” ultra dimensionali.
Ecco che nel ciclo “Vapori di luce” del 2018 la verticalità scompare e la luce si libera della costrizione ortogonale del segno rispetto ai margini della tela, la composizione segue i principi ottici dell’irradiazione luminosa fluttuando nello spazio senza una direzione precisa.
Cioffi in questi ultimi anni conserva la lezione di Valentino Vago, la sua ricerca della pittura dell’Assoluto ma, al contrario del maestro di Barlassina, rimane legato al “segno del pennello” che diventa nervoso, irregolare, pivotante, talvolta puntuale altre espresso per brevi “fiocchi”, che possono ricordare Tancredi e Piero Dorazio. L’artista sbriciola i colori sulla superficie creando campiture cangianti, a seconda della distanza di osservazione.
È il preludio all’avventura delle “soglie” che, lavoro dopo lavoro, cominciano ad apparire nelle sue composizioni, imponendosi con un processo di agglomerazione incostante ed enigmatico.
La pittura che si muove. Molte delle sue opere presentano vaghe analogie alla pittura di Rothko, almeno per ciò che appare la suddivisione della composizione per “campi di colore”, eppure le differenze sono sostanziali.
Nel caso del maestro lettone-statunitense le campiture di colore che organizzano lo spazio, permangono sospese su un piano denso e monocromatico, in una immanenza categorica dell’immagine in sè, che non vuole istruire un movimento “verso” un luogo nè tantomeno dentro il dipinto . L’esperienza psichica è abbandonata al fruitore, assolutamente non condotta da un sistema preordinato, soprattutto attraverso la dinamica tridimensionale. Se immaginassimo di tradurre con una vibrazione sonora le opere di Mark Rothko otterremmo un suono mono o bitonale, continuo, regolare, profondo.
Questa densità, che per Rothko è soprattutto esistenziale e psicologica, lo porterà a comporre le grandi tele di colore nero per la Cappella de Menil a Huston, (che ispirarono a Kubrick il monolite di “2001, Odissea nello spazio”).
Diversamente, in Cioffi, sia l’aspetto psicologico che l’atteggiamento esistenziale è completamente diverso: con consapevole leggerezza egli cerca il movimento già dentro la sua pittura.
Negli ultimi cicli pittorici tutto è in oscillazione e slittamento, tutto è poroso, e se abbiamo usato il concetto di suono per Rothko, per Cioffi comprendiamo la sua passione per la musica armonicamente esatta e limpida di Bach suonata da Glenn Gould, o le intensità espanse delle sinfonie contemporanee di György Ligeti.
Le Soglie. Il termine “soglia”, per Raffaele Cioffi, descrive un margine non realmente fisico, piuttosto qualcosa di indefinibile e sfuggente eppure percepibile che invita chi guarda al senso di movimento verso un’altra dimensione. Una dimensione misteriosa ma foriera, forse, di verità che nel nostro mondo, in questa dimensione costruita dai vincoli fisici, sono celate.
“Soglie”, dunque, non porte, perché queste non sono passaggi reali bensì psichici, che aprono al senso della rivelazione di una dimensione diversa.
L’artista ha compreso che per istruire, nell’osservatore, questa particolare percezione ultra-dimensionale è necessario costruire un impianto ottico che ne inneschi il senso di movimento, la forza traente all’interno (e oltre) lo spazio della pittura.
Eppure il tema del “passaggio” ha una storia lunga e affascina Cioffi fin dal ciclo “Continuum: La mia ombra”. Le opere di quel periodo presentano segni verticali che vogliono suggerire, “un palcoscenico che si apre di fronte allo spettatore, nel quale appaiono ombre che sono attori che si stagliano nello spazio del palcoscenico e che vengono da dietro, da un altro mondo, quasi invitando chi guarda ad oltrepassarlo ”.
Il tema dello spazio-tempo viene ripreso pochi anni dopo ma applicando elementi pittorici,
quali le colature verticali e forti bande di colore, che sottolineano il concetto di “tempo che taglia lo spazio”, che lo modifica proprio attraverso la percezione dell’osservatore indotta ad un rallentamento percettivo della realtà che lo circonda.
In questo momento della ricerca si delinea la dinamica innescata dalle sue opere: partire dal Tempo (percepito oggettivamente) per superare lo Spazio.
Questo principio ribalta il concetto spaziale di Fontana che, invece, applica una cesura fisica, spaziale, sulla tela suggerendo l’esistenza di un’idea di “tempo diverso” proprio attraverso il passaggio per taglio meccanico e superamento della materia dell’arte.
Cioffi non lacera/nega lo spazio della composizione pittorica, desidera anzi che lo spettatore vi si abbandoni completamente, che lo accetti, e attraverso il ritmo del movimento dello spazio pittorico entri in una condizione di sospensione temporale, uno stato necessario per il passaggio verso un altrove misterioso, di cui non si percepisce chiaramente la natura ma che l’alone di luce colorata promette di raggiungere.
Le “soglie”, caratterizzate da aloni dalle cromie brillanti e instabili, dal volume fibrillante e poroso, costruiti con una complessa tecnica di sovrapposizione dei pigmenti e con un movimento del pennello pivotante e nervoso, permettono di coinvolgere chi guarda in una esperienza tridimensionale, costruita per piani che si sovrappongono, l’uno susseguente l’altro, verso una soglia che ci attende.
Le particelle di colore, che sembrano dissolversi in un moto perpetuo e metafisico, si rivelano allo sguardo per gradi successivi, modificando sensibilmente la lettura dei colori a seconda della posizione e della distanza dell’osservatore sottolineando il senso di disvelamento.
In questo modo la pittura assume intenti coerenti in tutte le sue parti trasformando l’opera in una macchina armonica perfettamente coordinata.
L’esperienza di artisti, di pittori, come Raffaele Cioffi, è la rappresentazione di una vasta ricerca dei significati sfuggenti dell’esistenza. L’arte apre ad una via di comprensione del mondo attraverso il disvelamento di dimensioni segrete, di cui intravvediamo i riflessi proprio grazie all’azione dell’artista.
Le macchine pittoriche di Raffaele Cioffi, le sue “Soglie”, agiscono tramite il meccanismo, ancora in gran parte misterioso, che l’arte muove nell’essere umano, non solo sul piano razionale ma ancora di più nella sfera istintiva più profonda, in quelle zone nascoste che sono i veri accessi alla libertà, all’emancipazione dalle catene della verità tangibile.