CONTINUUM…

“…Continuum…”, come sviluppo senza interruzioni, dove lo spazio e il tempo si integrano.
“…Continuum…”, come un movimento lento, fatto di impercettibili mutamenti nella luce e nel colore.
“…Continuum…”, come qualcosa di impalpabile, tra l’emergere alla presenza e la persistenza di una vita nascosta, sotterranea.
“…Continuum…”, come coscienza della “continuità” di una tradizione, quella della pittura, che non vuole essere per forza nuova o stupefacente.

Con la denominazione “…Continuum…” Raffaele Cioffi identifica il suo lavoro recente e individua un carattere della sua pittura che risulta accentuato nei dipinti elaborati fra il 2003 e il 2005. Nel catalogo della mostra personale da lui tenuta nello spazio espositivo del Chiostro di Voltorre nel 2003 la pagina conclusiva era occupata da una tela che rimandava, nel titolo, all’anno successivo (Continuum 2004), e che idealmente apriva o annunciava questa nuova serie di lavori, gettando un ponte verso la nuova fase della sua produzione. Così, ora, considerandola forse compiuta, egli sente la necessità di porre una nuova parola o una nuova immagine a chiusura di un discorso svolto attraverso un notevole numero di opere, di vario formato e carattere.

Cosa le distingue da quelle che immediatamente le precedevano? Soprattutto una diversa concezione del movimento interno, che da spezzato, franto, fondatosull’apparizione di elementi di apertura improvvisa, come era nella serie delle “Prospettive interiori”, diviene invece senza soluzioni di “continuità”, aperto tendenzialmente oltre i limiti della tela, fondato su una accentuata sensazione di bidimensionalità. Lo scarto non è forse così pronunciato, in quanto l’impronta di fondo rimane quella di un intervento su luce e colore che tende a dare una sensazione di spazio-tempo risolto nella pittura e sulla superficie, dove l'”astrazione” è quella della dimensione interna e intrinseca del lavoro pittorico, tutta espressa nell’immediatezza della manifestazione dei suoi mezzi.

Diceva giustamente Marco Meneguzzo, nel testo dal tono epistolare rivolto a Cioffi in occasione della mostra del 2003, di trovare “interessante” quella volontà dell’artista di “… ‘rimarginare’ i tagli di Fontana”. Proprio da qui si potrebbe partire per tornare a considerare che tipo di spazio-tempo si generi nell’opera di Cioffi, e quindi nella serie dei suoi lavori recenti, che a questo tema ritornano non in modo esplorativo o intuitivo, ma nella ripetitività dell’esercizio quotidiano.

Dove certe lame di luce che apparivano nelle tele precedenti, del ciclo denominato dall’artista delle “Prospettive Interiori”, sembravano richiamare direttamente appunto i “tagli” di Fontana, quasi però negandone l’assunto essenziale – di essere esempio di uno spazio altro dalla tela, o del quale la tela costituisce un frammento visivo e palpabile – l’assorbimento di segni verticali che modulano la luce all’interno della sequenza cromatica di quest’altro gruppo di lavori dà per acquisito il completo “ritorno alla tela” rispetto a quel modello. In realtà Cioffi la pittura e i suoi strumenti non li ha mai lasciati e li ha sempre ostinatamente difesi, ma non ha potuto esimersi dal porsi a confronto con chi della pittura aveva fatto un trampolino per altre esperienze, fondate sullo spazio in quanto tale. Tornare alla tela come spazio metaforico può apparire allora riduttivo, ma è segno di una volontà di trovare in essa dei possibili motivi ulteriori, che si definiscono nella pittura intesa come fine in sé, oltre che come forma di rappresentazione. Chiudere il taglio di Fontana può voler dire ripiegarsi all’interno della pittura come rifugio, più che come terreno d’invenzione, ma, senza voler cercare una sfida con modi differenti di passare oltre la dimensione visiva dell’oggetto-pittura, il procedere implicito di Cioffi nelle categorie spazio-temporali della “continuità” denota il suo modo di acquisire qualcosa di quella lezione, senza mostrarsi dipendente o conquistato dal lato rivoluzionario o millenaristico della profezia di un’unità di spazio-tempo conquistata sulla scorta delle indagini scientifiche o delle innovazioni tecnologiche.

Lontano dalla sintesi fra linguaggio artistico e scientifico in diverso modo attuata da Fontana, il “continuum” spazio-temporale evocato da Cioffi riguarda la superficie della tela, senza più allusioni a uno spazio di profondità o di prospettiva, ma fondamentalmente pensata come verticalità del gesto su una orizzontalità di sviluppo, ricollegandosi a modalità da lui stesso introdotte una prima volta in alcuni lavori di grandi dimensioni della metà degli anni Novanta, come Intorno al Blu, per i quali Cerritelli aveva indicato come “Cioffi ama profondamente anche la dilatazione che può suggerire la dimensione orizzontale, vale a dire il riposo del colore, l’estensione prolungata dello sguardo entro campi di luce che velano e rivelano le visioni sottostanti…” (C. Cerritelli, Il volto dell’anima, in Raffaele Cioffi, Bollate, 2001, p. 21). La bidimensionalità, come ha insegnato una certa parte della storia della pittura degli ultimi decenni, si svolge in questo metodico insistere su una accentuata verticalità che indica la “presenza” nella dimensione illimitata dell’area di luce-colore, senza più bisogno di costruire o definire la forma. La geometria è invece assente, virtualmente espulsa dal lavoro recente di Cioffi, in quanto potrebbe interrompere quel senso di continuità spazio-temporale all’interno del quale questo ciclo si configura. Per qualificarsi ulteriormente ecco che, oltre alla variazione del colore cangiante, delle gradazioni luminose che si intersecano per relazione o, raramente, per contrasto, l’artista mette in atto una strategia che la pittura ha da sempre adottato per cercare equilibri fra le parti, non necessariamente in funzione narrativa, vale a dire quella della composizione per dittici e polittici, tendente ad accentuare la scansione degli episodi cromatici, permettendo di trovare un accordo fra due, tre o anche più parti accostate in continuità, combinate per accenti ritmici compiuti o lasciati aperti. Generalmente, infatti, nei lavori di maggiori dimensioni di recente fattura è come se il punto di partenza e quello d’arrivo, da sinistra a destra o viceversa, manifestassero una logica interna, anche se si potrebbe benissimo pensare che si tratti di un percorso lasciato senza compimento e che può idealmente proseguire all’infinito. Le brevi pause di bianco o di luce sembrano ricordare ancora quelle vere e proprie lame presenti nei suoi lavori precedenti, ma sono ora elementi assolutamente di superficie, pienamente inglobati in uno sviluppo unitario.

L’eliminazione, in questa fase del suo lavoro, di ogni segno o elemento diagonale o differente da quello della verticalità, riduce e quasi annulla la dinamicità, il senso di movimento interno. Tutto respira in una specie di iterativa continuità che tende alla quiete o all’immobilità, senza che questa si possa realmente verificare, come accade nelle diverse ipotesi di monocromia. Rispetto ad altre forme di pittura assoluta o “analitica”, pertanto, il discorso si carica in modo meno pronunciato di qualità filosofiche o mentali, perché a Cioffi interessa il dato visibile, più che l’argomentazione attorno ad esso, come ha riconosciuto Claudio Cerritelli, nel più impegnativo testo dedicato all’opera del giovane artista.

La sua pittura è sensibile e si rivolge ai sensi, in primo luogo, fondandosi su qualità di visione che toccano i caratteri percettivi, attraverso la naturale predisposizione a cogliere qualità e peso di quel colore che coincide con lo spazio. In un gruppo di suoi dipinti recenti egli si è spinto a richiamare le qualità visive e cromatiche delle quattro stagioni, forse troppo facilmente caratterizzandole con i colori caldi e freddi diversamente miscelati, ma questo genere di valutazione didascalica del tono e del carattere del colore in molti altri casi non è così immediato, respirando piuttosto di contrasti interni, in alcune delle tele più corpose e autonome della sua produzione recente, che esercitano una scossa visiva fondata su un nuovo senso di rottura, quando non suggeriscono, piuttosto, un dialogo su toni tesi come le note di una composizione musicale particolarmente ardita.

La chiarezza e l’evidenza di un esercizio sul colore portato alla sua immediata qualità di superficie denota un atteggiamento che si tiene lontano dal consueto rischio del decorativismo o della ripetitività proprio perché nello stesso fare insorgono possibilità ulteriori, fratture del ritmo che valorizzano, anziché negarlo, quel senso di continuità.

Secondo una ricerca di misura a suo modo classica, Cioffi in questo gruppo di lavori denota quindi il rapporto con una tradizione fondata e radicata, di un’astrazione compiuta e solida, più che indirizzarsi verso ipotesi sperimentali, e con la coscienza di ciò imposta un suo percorso, che dopo avere dedicato tempo ed energia a questo volo all’interno di un colore senza dimensioni, sente forse l’esigenza di tornare alle strutture e al peso di una forma, alla sua ombra, alla sua opacità, per ritrovare altre metafore utili alla costruzione di un discorso pittorico coerente, per quanto imprevedibile e soggetto a necessarie aperture e spostamenti.